Da cosa fuggiamo e in quale direzione, se molto spesso non conosciamo nemmeno la nostra di natura?
O forse il gesto di fuggire, già di per se, ci manda dei segnali su ciò che non riteniamo giusto per noi?
La nostra identità cessa di essere tale sin da subito. Poiché gli incontri, gli schemi, le regole, le restrizioni, le istituzioni, compresa la famiglia, influenzano la stessa e in seguito suddetta identità si forgia nuovamente, si sviluppa e somma e sottrae, ingrassa o digiuna.
Di rilevante le gabbie, anch’esse si intersecano alla nostra esistenza. Ci sono di ogni genere e di ogni tipo, e non è detto siano solo di accezione o connotazione negativa.
Spesso l’essere umano ci rinchiude anche la bellezza, la propria o quella altrui, spinto da un insano quanto innato egoismo.
Oppure ci sono altre gabbie che riflettiamo su chi ci vive di fronte, a fianco, gabbie che crediamo solamente loro, ma che sono anche le nostre molto spesso.
Altre volte, gabbie metaforiche, mentali, in cui rinchiudiamo un’idea, un pensiero, un’atteggiamento che diviene aderenza orgogliosa attaccata all’esistenza, oppure le difficoltà e l’impotenza del vivere che capita di dover commestire dopo averle buttate giù.
Inoltre ed ancora gabbie di protezione, perché è la libertà con la sua vastità ad essere spesso la dimensione più difficile da dover gestire: ci vogliono coraggio e grande responsabilità. Quindi capita che abbia senso restare nella familiarità di ciò che conosciamo e non spingerci oltre.
Di queste molteplici varietà citate ho avuto paura, da queste son fuggito e a queste son tornato chiudendomi dentro con doppia mandata talvolta.
Buona gestione delle proprie gabbie.
Ad ognuno le sue.